«Nella mia carriera di allenatore ho imparato più dalle sconfitte che dai successi»: per il dottor Fabio Vedana, coach di triathlon e di discipline endurance, quello che viene considerato un fallimento non sempre è un passaggio fallimentare. Una sconfitta, sportiva o personale, viene sempre associata alla sensazione di non essere all’altezza. E dopo una sconfitta ci si sente tristi o arrabbiati. Eppure, dalle sconfitte si può imparare sempre qualcosa. Anzi, è opportuno farlo.
Dunque, come si può imparare dalle proprie sconfitte? E soprattutto, quali sono gli insegnamenti che se ne possono trarre?
«Nel mondo dello sport sono più gli insuccessi che i sucessi. Soprattutto per quanto riguarda le discipline di cui mi occupo. Nell’endurance quando c’è una gara a vincere è uno solo. Tutti gli altri, sebbene piazzati, sono sconfitti. Dunque la sconfitta è naturale. Ma è proprio dall’insuccesso che si possono gettare le basi per ribaltare il risultato, in vista di una nuova competizione».
Ma in che modo?
«La sconfitta deve essere vista in accezione positiva. Sembrerà strano, ma è un momento del percorso che serve a rimettere in discussione le proprie capacità. Per arrivare a vincere servono anche le sconfitte, a seguito delle quali ci si deve interrogare sui motivi per i quali non si è stati in grado di raggiungere l’obiettivo. Da questa analisi, che non deve prescindere dal perdono di sé, si può poi ripartire».
Durante l’analisi della sconfitta bisogna essere rigorosi con se stessi?
«Sì, ma non troppo. Perché al tempo stesso bisogna essere autoindulgenti. Obiettivi. Intanto, sia nello sport che nella vita quotidiana, è importante focalizzare l’obiettivo che si vuole raggiungere. Dal punto di vista prettamente tecnico, secondo la mia esperienza, bisogna comunque lasciare traccia di quanto è stato fatto durante il percorso. Dunque non bisogna mai improvvisare, ma programmare il percorso stesso. Poi, se si raggiunge l’obiettivo, bene. Si è pronti a centrarne un altro. Se non si raggiunge, e dunque si è sconfitti, si deve fare una revisione critica del percorso affrontato».
È in questo modo che una sconfitta diventa un insegnamento.
«Nella fase di revisione critica si valuta quello che ha funzionato, quello che ha funzionato meno bene, quello che non ha funzionato affatto. E questo mette nella condizione di fare correzioni e adattamenti al percorso, oltre che ad attuare strategie utili per le prossime sfide da affrontare. Questo vale sia in termini tecnici, che relazionali. Ovvero con lo staff o la squadra. Il gruppo di lavoro è importante tanto nelle vittorie quanto nelle sconfitte. Perché è comunque coinvolto».
Al di là dello sport, anche nella vita si può imparare qualcosa dalle proprie sconfitte.
«I fallimenti fanno parte della vita. Nessuno è vincente sempre. È umano sbagliare, pensare di non essere pronti a ribaltare le circostanze. Ma anche in questo caso l’analisi del fallimento è determinante a correggere il tiro»
Dunque esistono delle “sconfitte vincenti”?
«Esistono. Se si è in grado di lavorare correttamente durante il percorso a prescindere dal risultato. Perché quel lavoro eseguito correttamente possa essere analizzato con l’intento di attuare dei correttivi. “Sconfitta vincente” è una metafora, un artifizio verbale utile a far cambiare la percezione negativa della sconfitta. La sconfitta vincente è quella grazie alla quale l’insuccesso può venire considerato una risorsa».