Le origini del mito IRONMAN
La leggenda, che poi tanto leggenda non è, narra che l’IRONMAN sia nato come una sfida tra Marines alle Hawaii. Il triathlon, inteso come pratica sportiva, in realtà esisteva già da qualche anno. A San Diego (California), infatti, si svolgevano alcune prove di nuoto, bici e corsa su distanze più corte di quella che oggi è conosciuta come “long distance”. La sfida Hawaiana volle riunire le 3 gare più lunghe già esistenti sull’isola: 3.8 km di nuoto in mare, una gara di bici di 180 km e la Honolulu Marathon. Una sfida da matti! Era il 1978 e parteciparono in 15.
La vera “svolta” avvenne nel 1982 quando la giovane Julie Moss partecipò alla gara per la sua tesi sulla fisiologia dell’esercizio fisico. Julie era in testa e vi rimase fino a due miglia dal traguardo quando iniziò ad accusare enormi difficoltà a causa della disidratazione e della mancanza di energie (30 anni fa si conosceva poco o niente delle strategie di integrazione e gli atleti non erano così fortunati come lo siamo noi oggi). Gli ultimi tre km della maratona li fece letteralmente gattonando, subendo la beffa del sorpasso a pochi metri dal traguardo. Quella scena, trasmessa dalle TV (e oggi su YouTube), contribuì a creare il mito dell’IRONMAN e quell’idea del finisher come obiettivo da raggiungere.
Dall’anno seguente, la crescita del triathlon fu costante, attirando sempre più persone da tutto il mondo. La storia recente racconta un qualcosa di meno “epico” e, ovviamente, più legato al business. Oggi IRONMAN è divenuto un circuito mondiale che conta più di 100 eventi ed il brand è sotto il controllo di una corporate cinese. La WTC (World Triathlon Corporation) fa parte della holding Wanda Group e si rapporta con la Federazione Mondiale di Triathlon per quanto riguarda “rules and regulation” delle prove.
I miei IRONMAN in giro per il mondo
Ho iniziato con il triathlon su distanze corte (sprint e olimpici) nel 2002, ottenendo buoni risultati quasi subito. Dal 2005 al 2010 ho vestito la maglia azzurra e conquistato, tra i vari risultati, anche un titolo italiano di Triathlon Sprint, uno di Aquathlon, un bronzo al Mondiale Universitario.
La mia prima esperienza nel circuito Ironman è stata, quasi per caso, il 70.3 (la mezza distanza) a St. Croix nelle Virgin Island. Dopo questo primo approccio ho fatto molte altre gare di 70.3.
L’esordio sul “full” è stato a fine 2014, ho scelto una gara un po’ complicata logisticamente, ma ero a fine stagione e l’Ironman Fortaleza (Brasile), era l’unica opzione disponibile. Fu una gara tutta in salita: persi la borraccia con i gel dopo 3 km di bici, fui quasi investito da una moto finita chissà come sul percorso e soffrii molto il caldo infernale. Ma rappresentò un’esperienza importante nel mio bagaglio tecnico. Terminai settimo. Un buon inizio tutto sommato.
Seguirono poi altri 10 IRONMAN portati a termine, e qualcuno in più affrontato ma non terminato. Brasile, Argentina, Spagna, Germania, Messico, Stati Uniti, Austria, Sudafrica, Italia e Francia, dove ho centrato la mia migliore prestazione con il 3° posto all’IRONMAN Vichy nel 2016, con il personal best di 8h19’58”. Ho viaggiato parecchio per disputare queste gare e ogni posto che ho visitato mi ha fatto vivere un’esperienza differente, sia per quanto riguarda la gara che per l’accoglienza riservata a livello locale.
Una delle più belle novità, per me, è la gara romagnola di Cervia. Attendevamo l’arrivo di un IRONMAN in Italia da molto tempo, anche se lo sbarco a Pescara nel 2011 di una mezza distanza diede già una bella scossa a tutto il movimento nazionale. Oggi però Cervia ha fatto centro e la gara è diventata in breve tempo una delle più belle tappe europee. Perché? Anzitutto la location. Cervia è, dal punto di vista logistico, perfetta e con una capacità ricettiva ottimale. L’estro romagnolo, poi, è la ciliegina sulla torta del nuovo maxi evento di quest’anno, una full immersion di tre giorni fortemente voluta anche dalla regione Emilia Romagna. Il mare adriatico è sicuramente più “easy” rispetto ad altre località e presenta le condizioni adeguate per un nuoto sempre fattibile, almeno sulla carta. La frazione in bici ha un dislivello di circa 700 metri, poco rispetto ad altre gare del circuito. Due giri per un totale di 180 km (forse un paio in più). Un classico “piattone” in cui l’unica asperità è la salita di circa 2 km che si affronta per raggiungere Bertinoro. Da lì si scende e si torna verso Cervia attraverso la campagne dell’entroterra e le famose saline della località romagnola. Suggestiva la corsa, con 4 giri da 10,5 km l’uno che dal lungomare di Cervia porta gli atleti verso Milano Marittima per poi tornare con l’arrivo sul lungomare letteralmente stracolmo di pubblico! Devo dire che, con grande gioia, abbiamo avuto un’ottima accoglienza dal pubblico romagnolo fin dalla prima edizione. Mi auguro di vedere ancora più spettatori per l’edizione 2019 quando ci saranno tre gare in tre giorni.
A proposito di Italia e IRONMAN, mi piace sottolineare come l’arrivo di una gara così importante in Italia abbia “risvegliato” le aziende sportive italiane che si focalizzano sempre di più sul nostro amato sport. E’ il caso di Enervit (storica azienda italiana leader nell’integrazione sportiva), per esempio, che dal 2018 è diventata sponsor del Circuito Europeo come partner ufficiale per l’integrazione. Ma ci sono anche altri marchi tricolore come le aziende bergamasche Santini (altro storico marchio Made in Italy per l’abbigliamento del ciclismo) e Kask (caschi) oltre alla veneta Selle Italia, che dal 2019 sono partner del circuito IM.
Come è cambiato IRONMAN nel corso degli anni
Il mito di tagliare il traguardo ed essere Finisher, è stata la chiave di volta per il successo di IRONMAN. Se ci si sofferma un po’ a pensarci, questa gara è un po’ una follia, ma ormai è talmente popolare nel mondo dell’endurance che chi si trova ad affrontarla forse non realizza distintamente tutta la distanza che sta coprendo. O forse, se ne rende conto solo alla fine di questa lunga giornata. Ma quel mito rimane il vero punto di forza di questa gara, dove arrivare al traguardo è un sogno.
Ci sono, poi, alcuni punti fermi (rimasti immutati nel tempo) a determinarne l’unicità.
La completa autonomia: ogni atleta è artefice del suo destino, non ci sono aiuti esterni se non quelli forniti dall’organizzazione e uguali per tutti. Questo vale per tutte le categorie, inclusi i professionisti. Ognuno deve rifornirsi autonomamente presso le “Aid Station” e se hai un guasto meccanico o una foratura devi essere in grado di sistemarla da solo se vuoi terminare.
Tutti insieme: il fascino di gareggiare al fianco dei professionisti rimane intatto da quarant’anni. Solo alcune gare, di recente, sono state riservate esclusivamente agli amatori, ma la maggioranza di queste vede schierati i migliori interpreti al mondo al fianco di migliaia di amatori che hanno l’occasione di ritrovarsi a preparare il proprio materiale al fianco del Campione del Mondo o di uno dei più forti atleti del circuito. Questo non capita in tutti gli sport, ed è un aspetto davvero affascinante.
Oggi IRONMAN è cresciuto tanto sia in termini qualitativi che quantitativi. I numeri si sono moltiplicati e il livello medio degli atleti è cresciuto. Ma si è anche aperto a molti più Paesi e persone. Spesso includendo anche chi è meno allenato, ma sogna di arrivare al traguardo entro il tempo limite per sentire lo speaker scandire il fatidico “YOU ARE AN IRONMAN”. Tutto molto bello, ma non si può nascondere che questa prova va affrontata con la dovuta umiltà sportiva. Il rischio è di voler arrivare troppo presto a raggiungere il sogno IRONMAN, senza prima aver fatto la dovuta gavetta. Distanze come sprint e olimpici sono più abbordabili e sono sicuramente un bel traguardo, oltre che un ottimo allenamento per arrivare al sogno Ironman. Bisogna darsi il giusto tempo.